Otto Scharmer Eva Pomeroy: Quarta persona: il sapere del campo

Fedi Paolo
48 min readJun 6, 2024

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di:
Otto Scharmer (MIT Sloan School of Management; Presencing Institute) Eva Pomeroy (Presencing Institute)

pubblicato su:
Journal of Awareness-based System Change — Volume 4, Issue 1, pp. 19–48

tradotto da:
Paolo Fedi e Manuela Pagani Larghi

Sommario

Nel contesto della poli-crisi e del collasso sistemico, la sfida principale che dobbiamo affrontare è un senso di depressione collettiva ampiamente condiviso, una mancanza di agito rispetto al quadro generale. Che cosa occorre per servire la trasformazione evolutiva di fronte a questo collasso? A nostro avviso, è necessaria una forma di conoscenza che va oltre gli attuali costrutti di conoscenza in prima, seconda e terza persona attorno ai quali sono organizzati molti dei nostri attuali sistemi di apprendimento, conoscenza e leadership.

In questo articolo suggeriamo il sapere in quarta persona come un’epistemologia distinta dall’intersezione delle altre tre e ci basiamo sulla nostra ricerca d’azione per illuminare cinque fenomeni che indicano e distinguono il sapere in quarta persona: (1) un sapere che passa attraverso di me ma non è mio; (2) un sapere che si manifesta nella mia esperienza individuale come un decentramento della percezione; (3) un senso accresciuto di potenziale, di possibilità che prima erano vissute come irraggiungibili e che ora appaiono a portata di mano; (4) la percezione della propria capacità di agire nell’aiutare l’“universo” (il campo più ampio) a evolversi; e (5) un impatto significativo a lungo termine in termini di risultati pratici. La nostra speranza è che articolando il sapere in quarta persona possiamo fornire una base epistemica su cui costruire metodologie di ricerca e di indagine, a complemento delle forme di indagine in prima, seconda e terza persona, metodologie basate sul “deep sensing” (percepire in profondità) e sul presencing (consapevolezza di sé) che sostengono gli individui e i collettivi a riconoscere, connettersi con e manifestare ciò che è loro compito fare nel contesto più ampio di questo momento e dei modelli incipienti di emersione e creazione di movimento.

Introduzione

Il problema numero uno che l’umanità deve affrontare oggi non è il cambiamento climatico, né la disuguaglianza o la guerra. Non è la proliferazione dell’intelligenza artificiale (AI). È piuttosto la nostra sensazione di essere impotenti nel cambiare qualcosa di ciò. I vecchi modi di conoscere e agire nel nostro mondo non sono più sufficienti. I nostri sistemi stanno collassando. Se vogliamo servire la trasformazione della società di fronte a questo collasso, poiché crediamo sia pienamente possibile, dobbiamo attingere a una nuova forma di sapere — sapere per l’azione trasformativa.

Le nostre attuali categorie di conoscenza — prima persona (soggettiva), seconda persona (intersoggettiva) e terza persona (oggettiva esterna) — su cui si basano i nostri sistemi di apprendimento, di creazione di conoscenza e di leadership, sono importanti ma non sufficienti per attivare il cambiamento profondo e l’energia che sono richiesti ora. Abbiamo bisogno di una qualità di conoscenza che ci permetta di connetterci e di apprezzare più profondamente la dignità e l’interiorità dei mondi che ci circondano e che noi co-definiamo e co-agiamo momento per momento. È l’interno collettivo dei mondi che co-sorgono in noi in generale, e le qualità più sottili ed emergenti dei sistemi sociali in particolare che, se guardate dal punto di vista degli approcci positivisti alla scienza, sono rimaste in un punto cieco epistemologico. Eppure, nel profondo della nostra esperienza, molti cittadini, responsabili del cambiamento e leader sanno che per affrontare in modo significativo la profonda poli-crisi del nostro tempo abbiamo bisogno di attingere a una fonte di conoscenza più profonda. Questa fonte di conoscenza esiste già e in molti modi è alla base delle azioni di migliaia, se non milioni, di innovatori e comunità in rete in tutto il mondo. Questa profonda consapevolezza collettiva è una porta d’accesso alle possibilità future emergenti che dipendono dalla nostra presenza e dalla nostra capacità di agire per manifestarsi. Riteniamo che questo modo di percepire e conoscere, molto personale e al tempo stesso collettivo, sia al centro del nostro momento planetario e del movimento che stiamo realizzando, e che qui definiamo e presentiamo come sapere in quarta persona.

In questo articolo, esaminiamo la prospettiva della quarta persona, sostenendo innanzitutto che si tratta di un tipo di conoscenza sui generis, epistemologicamente distinta dalle altre tre forme, e poi attingendo alla nostra ricerca d’azione per illuminarne la fonte, la forma e la natura.

Il sapere in quarta persona può essere considerato un’espressione e un’estensione del sapere autotrascendente, o “conoscenza tacita prima della sua incarnazione nelle pratiche quotidiane” (Scharmer, 2001, p. 139), che enfatizza “la capacità di percepire e presenziare le opportunità emergenti, di vedere l’arrivo del nuovo” (Scharmer, 2001, p. 137). L’estensione è quella di portare il sapere autotrascendente nell’ambito delle epistemologie prospettiche (sapere in prima, seconda e terza persona), esplorando lo spazio epistemico in cui il confine tra queste forme di sapere sfuma e in cui c’è sia sovrapposizione che differenziazione tra conoscitore e conosciuto. Una delle nostre intenzioni, nel portare il sapere autotrascendente nella cornice della quarta persona, è quella di fornire una base epistemologica su cui costruire metodologie di ricerca e di indagine parallelamente alle forme di indagine in prima, seconda e terza persona, metodologie basate sul sensing e sul presencing. Il concetto di presencing, e l’approccio della Teoria U che ne è alla base (Scharmer, 2016, 2018; Scharmer & Kaufer, 2013, di prossima pubblicazione), si basa sul presupposto che gli esseri umani abbiano la capacità di percepire in profondità. Si tratta di una capacità di percepire non solo ciò che è, attraverso l’adozione di una prospettiva e la sintonizzazione su prospettive diverse, ma anche di percepire ciò che non è ancora, ciò che sta per emergere. Percepire è una vera e propria conoscenza incarnata. È un’estetica che si rifà all’aisthesis greca: la conoscenza di tutti i nostri sensi. Il Presencing combina il sensing con l’attualizzazione del futuro emergente.

Il Presencing è essenzialmente un antidoto al positivismo, che separa mente e mondo. L’assunto fondamentale alla base della conoscenza in quarta persona è che la mente e il mondo non sono separati, ma piuttosto intrecciati in una relazione di co-modellazione. Come tale, il presencing si colloca saldamente nel punto cieco dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’IA eccelle nell’elaborazione, nell’ordinamento e nell’estrapolazione da masse di dati esistenti, e questo è il luogo da cui proietta il futuro. Ma l’IA non può attingere a questo livello più profondo di percezione, che secondo noi è il luogo in cui nasce il nuovo. La presenza è quindi la fonte di conoscenza necessaria per affrontare le dimensioni più profonde delle sfide che dobbiamo affrontare. Quanto più si svilupperà e si coltiverà la capacità di percezione profonda e di presenza, tanto più facilmente i change maker, i leader e gli altri professionisti dello sviluppo saranno in grado di sintonizzarsi sulle possibilità di sviluppo latenti che non sono né empiricamente evidenti (ancora) né semplicemente una finzione soggettiva nell’occhio di chi guarda. Esse possono essere evidenziate attraverso una nuova categoria di pratiche cognitive che, in questo articolo, chiamiamo “sapere in quarta persona”.

Un punto cieco nella cognizione occidentale

La prospettiva della quarta persona affronta un tipo di conoscenza che è in gran parte assente nelle istituzioni scientifiche, educative e decisionali della società di oggi. Manca perché affronta un punto cieco nelle epistemologie cognitive occidentali. Il neurofenomenologo Francisco Varela ha descritto l’esperienza come “al centro di molte tradizioni, ma è stata oscurata nella tradizione occidentale, in particolare nella scienza… è come se ci fosse un grande punto cieco” (cit. in Scharmer, 2000, p. 1).

Varela ha sviluppato una sintesi dei tre approcci che, a suo avviso, affrontavano questo punto cieco — l’introspezione psicologica, la fenomenologia e la meditazione — per evidenziare e formalizzare ciò che era metodologicamente coerente tra loro. Il suo intento era quello di costruire e sostenere una scienza “che includesse l’esperienza soggettiva in prima persona come componente esplicita e attiva” (Varela & Shear, 1999, p. 2). Varela e i suoi colleghi hanno identificato un quadro e un metodo per indagare l’esperienza in prima persona, quello che hanno chiamato il processo centrale del diventare consapevoli, costituito dai tre gesti della sospensione, del reindirizzamento e del lasciar andare (Depraz et al., 2003). Essi sostengono che questi gesti possono e devono essere coltivati attraverso la pratica per costruire la capacità di accedere all’esperienza in prima persona in modo tale da andare oltre le descrizioni impressionistiche per arrivare a “descrizioni fenomeniche sufficientemente ricche e sottilmente interconnesse rispetto ai resoconti in terza persona” (Varela & Shear, 1999, p. 2).

Il quadro della Teoria U si fonda sui tre gesti del divenire consapevoli delineati da Varela e colleghi, ma estende la loro applicazione dalla cognizione individuale ai sistemi sociali. La Matrice dell’evoluzione sociale che ne deriva (Figura 1) si basa su due assi: i cambiamenti di consapevolezza e coscienza descritti da Varela (sospensione, reindirizzamento, lasciar andare) sull’asse verticale e i diversi livelli dei sistemi sociali (micro, meso, macro, mondo) sull’asse orizzontale.

Figura 1. Matrice dell’evoluzione sociale (Scharmer, 2018)

Quando le persone o le entità sociali scendono lungo il lato sinistro della U (cioè lungo l’asse verticale della Figura 1) nel loro processo cognitivo, i confini tra la conoscenza in prima, seconda e terza persona come esperienze discrete iniziano a svanire. La fonte della cognizione si sposta in un ambito di interazione che fonde conoscenza soggettiva, oggettiva e intersoggettiva, che definiamo sapere autotrascendente o trans-soggettivo. Il sapere trans-soggettivo è il sapere collettivo dell’interiore. Sebbene si manifesti nella nostra esperienza soggettiva, non è un sapere puramente soggettivo, né puramente oggettivo o intersoggettivo. Il sapere trans-soggettivo incorpora e sfuma i confini tra tutti questi saperi. Piuttosto, la conoscenza trans-soggettiva incorpora e sfuma i confini tra tutte queste prospettive per connettersi con una forma distinta di conoscenza che viene sperimentata come se ci attraversasse, ma che non è nostra. Essenziale per l’esplorazione dell’interno collettivo è il concetto di campo sociale (Pomeroy & Herrmann, 2023; Scharmer 2015, 2016). Il campo sociale può essere considerato come l’interiorità di un sistema sociale. È la rete di relazioni e interazioni che conferiscono a uno spazio o a un sistema sociale la sua qualità unica. Il campo sociale ha una dimensione manifesta che include i risultati visibili del sistema e i modelli relazionali, e ha anche una dimensione di sorgente da cui derivano le qualità manifeste dello spazio relazionale (vedi Figura 1). Altrove abbiamo definito i campi sociali come “l’insieme del sistema sociale con un’enfasi sulle condizioni della sorgente (ndt.: luogo interiore dal quale si prendono le decisioni) che danno origine a modelli di pensiero, conversazione e organizzazione, che a loro volta producono risultati pratici” (Scharmer et al., 2021, p. 634). Sottolineiamo la dimensione della sorgente perché è stata ampiamente trascurata nella considerazione dei sistemi sociali; in altre parole, è il punto cieco della cognizione occidentale. Passando attraverso gli strati dell’interiorità del sistema sociale, attraverso i paradigmi di pensiero, attraverso il senso percepito o la qualità dello spazio, arriviamo alla dimensione della sorgente da cui hanno origine gli strati superiori. Mentre le dimensioni superiori hanno una qualità passata/presente — ad esempio, portano con sé la memoria collettiva o hanno una qualità o un’atmosfera percepita nel momento — la dimensione sorgente ha un orientamento al futuro, collegandosi o addirittura tirando verso ciò che sta nascendo. Ciò conferisce alla dimensione sorgente del campo sociale la qualità di essere situata in un contesto particolare, ma anche connessa a un insieme di forze più universali e cosmologiche. È il sapere che nasce al livello della sorgente dell’interno collettivo che consideriamo un sapere in quarta persona.

Figura 2. Campo sociale (Immaine di Kelvy Bird)

Così come possiamo affinare la nostra capacità di discernere, osservare e descrivere l’esperienza in prima persona nel modo descritto da Varela, allo stesso modo possiamo costruire la nostra capacità di accedere alla conoscenza in quarta persona, la conoscenza del campo, attraverso processi simili applicati al collettivo. Il lavoro di Varela e colleghi fornisce quindi una base e un punto di partenza. La differenza fondamentale tra il nostro lavoro e questa base è che, mentre l’unità di analisi principale di Varela era l’esperienza interiore individuale, il nostro obiettivo primario è l’esperienza interiore collettiva.

Prospettive di prima, seconda e terza persona nella ricerca-azione

Come operatori del cambiamento dei sistemi basato sulla consapevolezza, il nostro obiettivo e la nostra intenzione per il lavoro è di sostenere l’azione trasformativa nelle organizzazioni e in altri sistemi, fornendo un quadro e una metodologia, per dar vita al cambiamento, da un diverso tipo di coscienza. Ci collochiamo quindi all’interno della tradizione della ricerca-azione, con la sua duplice attenzione alla creazione democratica di conoscenza e ai processi partecipativi per il cambiamento dei sistemi. Come descrive Bradbury (2015), “la ricerca d’azione è emergente e evolutiva. Riguarda questioni pratiche e la felicità dell’uomo. La sua modalità è principalmente partecipativa e democratica, lavora con i partecipanti e punta alla conoscenza in azione” (pp. 7–8). La ricerca-azione, forse più di ogni altro campo, ha consapevolmente lavorato per integrare molteplici lenti epistemiche, utilizzando l’indagine in prima, seconda e terza persona come cornice del lavoro (vedi Gearty & Coghlan, 2018; Hynes, 2013; Reason & Bradbury, 2008; Reason & Torbert, 2001). All’interno della tradizione della ricerca-azione, ogni prospettiva rappresenta una strategia o un approccio complementare nel processo di cambiamento.

La prospettiva in prima persona può essere intesa come l’esperienza soggettiva dell’individuo. Nella ricerca azione, l’enfasi del lavoro in prima persona è posta sulle qualità che i ricercatori d’azione apportano a un intervento, tra cui la sensibilità, il discernimento e “l’attitudine all’indagine” (Marshall, 2004, 2015). Le abilità di indagine in prima persona includono la capacità di vedere le proprie abitudini di pensiero, di testare le ipotesi, di essere aperti a nuovi dati, di portare curiosità nel processo di indagine e di essere consapevoli dei processi cognitivi e valoriali che portano alle decisioni (Brydon-Miller & Coghlan, 2019; Gearty & Coghlan, 2018; Marshall 2004, 2015; Reason & Torbert, 2001). Poiché il ricercatore-intervistatore è uno strumento centrale del lavoro, l’attenzione alla qualità e alla capacità di questo strumento è fondamentale. La conoscenza soggettiva in prima persona è intenzionalmente sviluppata a questo scopo.

La prospettiva in seconda persona rientra nel campo dell’esperienza intersoggettiva. La ricerca d’azione, con la sua attenzione al cambiamento dei sistemi, la definisce specificamente come un impegno faccia a faccia nel processo di cambiamento. Coghlan (2019) descrive l’indagine in seconda persona come i processi ciclici di pianificazione, azione e valutazione nei gruppi e nelle organizzazioni che costituiscono le attività principali di un intervento di cambiamento, di solito con l’intento di far emergere le ipotesi e trovare un terreno comune. Nella ricerca azione, l’indagine in seconda persona è considerata primaria. Hynes (2013) osserva che “nella letteratura sulla ricerca-azione, l’indagine in seconda persona attira la maggiore attenzione e sembra avere l’impatto più immediato in termini di cambiamenti nella pratica” (p. 55).

Gearty & Coghlan (2018) sottolineano che “poiché la ricerca d’azione è integralmente collaborativa e democratica, la qualità dell’indagine e dell’azione in seconda persona è fondamentale” (p. 467). Torneremo a parlare di conoscenza in seconda persona più avanti.

La prospettiva in terza persona è quella che abbiamo definito oggettiva: la prospettiva di un osservatore che si trova al di fuori di un’esperienza. La ricerca-azione, con la sua enfasi sull’indagine, descrive la prospettiva in terza persona come un’arena di impegno che si estende al di là di coloro che sono direttamente coinvolti in un determinato processo di cambiamento. Nella ricerca-azione, l’indagine in terza persona “viene raggiunta attraverso la divulgazione, la pubblicazione e l’estrapolazione dal concreto al generale” (Gearty & Coghlan, 2018, p. 467). La somiglianza tra la cornice della ricerca-azione e quella più comunemente diffusa dell’“osservazione oggettiva” per la terza persona è che entrambe descrivono una prospettiva al di fuori dell’esperienza diretta.

Per gli studiosi e gli operatori attivamente impegnati a sostenere e facilitare il cambiamento trasformativo, la ricerca d’azione è primaria. Detto questo, il concetto di conoscenza in quarta persona deriva non solo dalla nostra posizione ed esperienza nella ricerca d’azione, ma anche da un campo di considerazione più ampio, in particolare per quanto riguarda la prospettiva in seconda persona, che comprende le neuroscienze cognitive, la filosofia e la psicologia. All’interno di questo panorama più ampio, scopriamo discrepanze e divergenze nella concettualizzazione della prospettiva della seconda persona che, per noi, evidenziano la necessità di articolare una nuova prospettiva epistemica.

Prospettiva in seconda persona: Disparità e divergenze

Nell’ultimo decennio è emerso un interesse per la prospettiva della seconda persona nel campo delle neuroscienze e della cognizione sociale. Nel 2013, Schilbach et al. hanno proposto il concetto di approccio in seconda persona alle neuroscienze sociali. La proposta si basava sull’evidenza emergente che impegnarsi in una interazione sociale è fondamentalmente diverso dall’osservazione del comportamento sociale. Redcay e Schilbach (2019), nel passare in rassegna i risultati relativi ai meccanismi comportamentali e neurali delle interazioni sociali in tempo reale, concludono che questi studi “forniscono un forte sostegno all’affermazione che le risposte neurali differiscono durante l’interazione e l’osservazione” (p. 499). Gallese (2014) riflette ulteriormente sulla neurologia e sulla biologia dell’interazione. Noto per il suo lavoro sui motoneuroni, sostiene che, mentre possiamo vedere gli altri da una prospettiva di terza persona, facciamo esperienza degli altri anche attraverso la risonanza corporea non cosciente e pre-riflessiva con le informazioni sensoriali generate in un’interazione (p. 2), descrivendo un’esperienza che non è né del tutto soggettiva né del tutto oggettiva ed è, quindi, epistemologicamente distinta. Moore e Barresi (2017) sostengono che la conoscenza in seconda persona si distingue sia dall’osservazione in terza persona sia dalla soggettività in prima persona perché incorpora entrambe le prospettive (p. 5). Pauen (2012), scrivendo da una prospettiva filosofica, concorda con questo punto di vista e delinea tre requisiti per la presa di prospettiva in seconda persona: deve attingere alla replica o all’immaginazione dello stato mentale di un altro, è consapevole di una distinzione tra sé e l’altro ed è altrettanto consapevole di una distinzione situazionale tale che il percepito può distinguere la situazione dell’altro dalla propria (p. 39). Moore e Barresi (2017) sostengono che “l’esperienza dell’interazione può produrre forme di informazione uniche e critiche per la comprensione sociale” (p. 1), un punto ripreso da Redcay e Schilbach (2019). La conoscenza in seconda persona è quindi sempre più riconosciuta nell’ambito delle scienze cognitive come un’epistemologia distinta.

Nei lavori citati finora in questa sezione, la prospettiva in seconda persona è concettualizzata come una capacità di sperimentare e comprendere l’altro, forse simile all’empatia. Un altro modo in cui la prospettiva in seconda persona può essere concettualizzata è come un’esperienza di co-creazione del sapere, o di pensiero unitario. In questa concettualizzazione l’attenzione non è posta solo sul comportamento neurale degli individui in interazione; piuttosto, l’interazione stessa è considerata un’entità unica con caratteristiche distinte. Nel considerare il passaggio da un focus su un singolo cervello a uno su più cervelli per studiare e comprendere le neuroscienze dell’interazione sociale, Kaiser & Butler (2021) propongono il concetto di Social Breathing, che descrivono come segue:

Usiamo il termine Social Breathing per riferirci a quando un sistema di più persone si intreccia attraverso la condivisione automatica, implicita, temporale e reciproca di contenuti sociali. Il modello mette in evidenza sia il processo multi-personale in sé, sia le abilità individuali necessarie per impegnarsi in esso, sia l’aspetto esperienziale dell’essere intrecciati con gli altri. (p. 3)

È implicita l’idea che gli individui impegnati nell’interazione sociale creino una nuova entità. Ciò si basa sul lavoro fondamentale della filosofa e scienziata cognitiva Hanne de Jaegher. De Jaegher e di Paolo (2007) propongono un approccio alla cognizione sociale basato sull’azione che chiamano “senso del fare partecipativo”. Questo approccio considera l’interazione come primaria nel processo di creazione del significato. La centralità dell’interazione come fonte di cognizione sociale allontana la visione degli individui o come risposta agli stimoli ambientali (esclusivamente stimolati dall’esterno) o come soddisfazione di richieste interne (esclusivamente stimolate dall’interno) (de Jaegher & di Paolo, 2007, p. 487). Spiegano gli autori,

L’interazione sociale è l’accoppiamento regolato tra almeno due agenti autonomi, dove la regolazione è rivolta ad aspetti dell’accoppiamento stesso in modo da costituire un’organizzazione autonoma emergente [enfasi aggiunta] nel dominio delle dinamiche relazionali, senza distruggere nel processo l’autonomia degli agenti coinvolti… (de Jaegher & di Paolo, 2007, p. 493)

L’“organizzazione autonoma emergente” riflette la nozione di autopoiesi di Maturana e Varela (1991): la natura auto-organizzativa, produttiva e di mantenimento dei sistemi viventi. Il sistema vivente, o l’insieme, possiede qualità e caratteristiche che possono essere differenziate da quelle delle sue parti costituenti. Il fatto che l’insieme sia un’entità unica, più della (o almeno diversa dalla) somma delle sue parti, è un punto di vista ontologico che considera l’esperienza collettiva più che transazionale o addirittura interattiva. Piuttosto, il tutto è visto come un’entità emergente degna di attenzione e di forme di indagine specifiche. In questo modo, la prospettiva della seconda persona ha un fondamento sia epistemologico che ontologico.

Per comprendere più a fondo la natura ontologica della conoscenza in seconda persona, passiamo dalla scienza cognitiva alla psicologia transpersonale e al lavoro di De Quincey (2000). De Quincey distingue due livelli di intersoggettività. Il primo, che descrive come “debole-esperienziale”, è definito come “impegno e partecipazione reciproca tra soggetti indipendenti, che condiziona le rispettive esperienze” (p. 138). Questa concettualizzazione riflette la prospettiva della seconda persona che Moore e Barresi (2017) descrivono come “una comprensione delle relazioni intenzionali” (p. 1). De Quincey concettualizza poi il secondo tipo di intersoggettività, descritta come “forte-esperienziale”, come “co-nascita e impegno reciproco di soggetti interdipendenti, o inter-soggetti, che crea la loro rispettiva esperienza” (p. 138). È qui che iniziamo a toccare il fenomeno che è al centro di questo articolo, la conoscenza del campo, perché mentre l’autonomia dell’interazione è riconosciuta in alcune delle riflessioni emergenti nella cognizione sociale, l’enfasi rimane sulla conoscenza originata dai soggetti interagenti. De Quincey indica una fonte diversa, attingendo al lavoro del filosofo e teologo Martin Buber. Buber (1966) descrive eloquentemente questa fonte:

Nei momenti più potenti della dialogica, dove in verità “il profondo chiama il profondo”, diventa inequivocabilmente chiaro che non è la bacchetta dell’individuo o del sociale, ma quella di un terzo che disegna il cerchio intorno all’evento. Al di là del soggettivo, al di qua dell’oggettivo, sullo stretto crinale dove io e tu si incontrano, c’è il regno del tra”. (Buber, 1966, p. 55)

Così, conclude De Quincey, “Buber ha dato uno status ontologico al ‘tra’ — una forza misteriosa, ‘presenza’ o un ambiente creativo, in cui sorge l’esperienza di essere un sé” (p. 142). È questo il territorio che vogliamo esplorare.

Sebbene la differenziazione dei tipi di intersoggettività sia utile, riteniamo che la necessità di questa differenziazione nasca da una confusione di due epistemologie distinte sotto la bandiera della seconda persona: l’intersoggettività e la trans-soggettività. Così come è stato sostenuto che la prospettiva della seconda persona non può essere ridotta né alla prima né alla terza (Moore e Barresi, 2017; Pauen, 2012; Redcay e Schilbach, 2019), noi sosteniamo che la prospettiva della quarta persona (trans-soggettività o auto-trascendenza) non può essere ridotta a una sottosezione della seconda persona (intersoggettività).

Conoscenza in quarta persona: La prospettiva mancante

Il sapere in quarta persona ha la particolare qualità di non essere né il mio sapere né il tuo, né esclusivamente fuori né dentro di me, ma piuttosto qualcosa che inizia ad articolarsi da una fonte diversa che opera al di là di queste distinzioni. Tornando a Varela e al re-indirizzamento dell’attenzione descritto in precedenza, quando il re-indirizzamento dell’attenzione dall’oggetto alla fonte viene applicato all’esperienza interiore collettiva, qual è questa fonte? La identifichiamo come la presenza del campo sociale. Poiché il campo sociale ci è noto attraverso le nostre interazioni, abbiamo una relazione intima con esso, ma il campo assume anche un proprio essere autonomo.

L’essere del campo si riflette in varie forme di cosmologie ed epistemologie non occidentali, olistiche e integrate, come il taoismo e i sistemi di conoscenza indigeni. Gli studiosi Maori Johnson, Allport e Boulton (2024) affermano,

La nostra visione del mondo non comprende solo le interconnessioni ecologiche, sociali, psicologiche o economiche, ma anche quelle filosofiche e spirituali e la connessione tra gli Atua (divinità) e l’umanità. (p. 53)

L’interconnessione che dà origine alla conoscenza in quarta persona è stata messa in luce da Melanie Goodchild, Anishinaabe della Ketegunseebee First Nation, nel suolavoro sul Relational Systems Thinking. Nel suo dialogo con gli anziani Haudonosaunee, la fonte del sapere incorporata nei sistemi di conoscenza indigeni è emersa ripetutamente. L’anziano Dan Longboat ha detto che “l’autorità della nostra conoscenza come popoli indigeni proviene da un luogo dello spirito, non dalla mente di uomini e donne” (Goodchild, 2021, p. 88). Questa conoscenza viene comunicata attraverso un rapporto intimo con la terra, come spiega l’anziano Rick Hill,

La conoscenza è innatamente legata alla terra, è proprio lì, aspetta che le prestiamo attenzione, che ci guidi, attraverso i sogni, le visioni, la pratica, e forse questa è la nostra più grande forza, far riconnettere le persone alla fonte della conoscenza” (Goodchild, 2021, p. 88). (Goodchild, 2021, p. 89).

Contrapponendo i paradigmi di ricerca occidentali a quelli indigeni, Goodchild cita lo studioso Cree Opaskwayak Shawn Wilson, il quale sottolinea che, mentre i paradigmi occidentali enfatizzano gli individui come fonte di conoscenza, in un paradigma indigeno “la conoscenza è vista come ‘appartenente al cosmo’ e noi umani siamo solo gli ‘interpreti’ di quella conoscenza” (Goodchild, 2022, p. 5). La fonte della conoscenza si estende quindi oltre l’uomo, alla terra e a tutta la vita, e al cosmo. È in questa prospettiva che si riflette il concetto di conoscenza in quarta persona che cerchiamo di articolare qui. Al suo livello sorgente, la conoscenza del campo sociale è un’espressione di ciò che è unico eppure universale, o cosmologico, e che, attraverso la nostra presenza, attenzione e relazione intima con esso, può manifestarsi attraverso di noi.

Il sapere in quarta persona si manifesta nella nostra esperienza individuale, ma non è opera nostra. Non è nemmeno un’interazione specifica o un’esperienza intersoggettiva: non è qualcosa che esiste solo tra di noi. Piuttosto, è qualcosa che esiste contemporaneamente dentro, tra e oltre noi. Riflette il concetto di risonanza di Rosa ai suoi livelli più profondi: possiamo stabilire una connessione con l’appello del mondo attraverso la nostra azione interiore ed esteriore in un incontro che “trasforma entrambe le parti, il soggetto e il mondo sperimentato” (Rosa, 2018, p. 42). Nella Tabella 1 distinguiamo ulteriormente il sapere in quarta persona dalle prospettive epistemologiche esistenti.

Tabella 2. Prospettive della prima, seconda, terza e quarta persona

Riassumiamo di seguito l’essenza e le implicazioni di ciascuna di queste epistemologie:

Oggettività

Essenza: Questa prospettiva cerca verità esterne alla percezione e ai pregiudizi individuali. È spesso associata ai metodi scientifici, che cercano di scoprire fatti sul mondo senza essere influenzati da sentimenti o opinioni personali.

Implicazioni: Un’attenzione ai fenomeni positivi e misurabili (visione in terza persona).

Soggettività

Essenza: L’accento è posto sull’esperienza, la consapevolezza e la percezione individuali. Ciò che viene considerato verità può variare da un individuo all’altro.

Implicazioni: L’attenzione si concentra sul senso individuale (visione in prima persona).

Intersoggettività

Essenza: Questa prospettiva riguarda i significati e le comprensioni condivise. Le nostre esperienze personali (soggettività) possono essere diverse, ma attraverso lo scambio si può scoprire un terreno comune.

Implicazioni: Riconoscimento della costruzione sociale della realtà (visione in seconda persona).

Trans-soggettività

Essenza: Questa prospettiva umana autotrascendente comprende sistemi di significato e relazioni più ampi, soprattutto in relazione al pianeta (eco-centrica) e all’universo (cosmo-centrica).

Eco-centrico: Riconosce l’interconnessione di tutte le forme di vita e degli ecosistemi. L’uomo non è un semplice osservatore, ma partecipa al delicato equilibrio della vita, sottolineando l’armonia con la natura (e come parte di essa).

Cosmo-centrico: colloca la nostra esistenza all’interno dell’universo. Favorisce un senso di umiltà e soggezione, riconoscendo il nostro ruolo sul pianeta e nel cosmo.

Implicazioni: Una visione del mondo più olistica, in cui le azioni vengono valutate non solo in base a considerazioni umane, ma anche in base al benessere di tutti gli altri esseri con cui gli esseri umani sono co-dipendenti e co-arrangiati (visione in quarta persona).

Fenomeni in quarta persona

Abbiamo delineato le proprietà generiche del sapere in quarta persona che lo distinguono dalle altre epistemologie. Ma come si manifesta nella nostra esperienza vissuta? Come concetto di ricerca-azione, la prospettiva della quarta persona ci è nota attraverso il nostro lavoro di progettazione e facilitazione dei processi di Teoria U per il cambiamento trasformativo. Negli ultimi 20 anni, con i nostri colleghi del Presencing Institute (PI), abbiamo portato i processi della Teoria U alle istituzioni e alle organizzazioni che si trovano ad affrontare sfide reali in tutto il mondo [1 Per esempi, vedere https://www.u-school.org/acupuncture-points] e abbiamo usato la Teoria U per sostenere l’azione di base su larga scala attraverso il rafforzamento delle capacità, nonché l’attivazione su scala multi-locale e multi-regionale.[2 nostri principali programmi di sviluppo delle capacità online sono u-lab 1x e u-lab 2x, che coinvolgono oltre 200.000 persone e mille team impegnati in progetti di cambiamento dei sistemi.

GAIA (Global Activation of Intention and Action) Journey è stata un’iniziativa di attivazione globale lanciata in risposta alla prima ondata della pandemia COVID-19. Una comunità globale di oltre 15.000 persone ha partecipato a sessioni comunitarie online e a gruppi di pratica asincroni.

A livello regionale, PI collabora con i partner per sostenere tre programmi di attivazione dell’ecosistema: Ecosystem Leadership Program in America Latina, Ubuntu.Lab in Africa e United in Diversity in Asia.]

Due anni fa, abbiamo iniziato un’indagine approfondita su una forma di conoscenza che non poteva essere descritta come esclusivamente in prima, seconda o terza persona. Abbiamo attinto sia all’esperienza personale che ai dati della ricerca d’azione, utilizzando inizialmente fonti di dati esistenti provenienti da ricerche precedenti e poi cercando nuove prospettive. La tabella 2 riporta un riepilogo delle fonti di dati.

Tabella 2. Fonti dati

Tutte queste fonti di dati hanno contribuito alla comprensione dei fenomeni che qui descriviamo. Abbiamo confrontato i dati emergenti con quelli esistenti e con quelli provenienti dalle nostre esperienze in un processo iterativo e induttivo di dialogo, immersione nei dati e riflessione. Attraverso questo processo siamo arrivati a cinque fenomeni che crediamo indichino il sapere in quarta persona e lo distinguano dalle forme epistemologiche esistenti:

  1. Il sapere in quarta persona è sperimentato come qualcosa che mi guarda ma non è me, un essere che non è me e tuttavia non si manifesta in mia/nostra assenza.
  2. La conoscenza in quarta persona si manifesta nella nostra esperienza individuale come una modalità distinta di decentramento della percezione, che comprende un cambiamento nel modo in cui sperimentiamo lo spazio, il tempo, il sé, la luce, la sensazione e il calore.
  3. La conoscenza in quarta persona si accompagna a un accresciuto senso di possibilità, in cui un potenziale futuro, precedentemente vissuto come irraggiungibile, si sposta all’interno dell’orizzonte di ciò che ci sembra.
  4. La conoscenza in quarta persona tende a manifestarsi con una maggiore compresenza del tutto e dell’individuo, rendendo possibile la libertà di allineare l’attenzione, l’intenzione e l’agenzia individuale e collettiva.
  5. Il sapere in quarta persona tende ad attivare campi sociali generativi a lungo termine che danno origine a risultati pratici sostenuti e significativi.

Approfondiamo questi punti qui di seguito.

Non siete soli

  1. La conoscenza in quarta persona è vissuta come qualcosa che mi guarda e che non sono io; un essere che non è me e che tuttavia non si manifesta in mia/nostra assenza.

La conoscenza in quarta persona è vissuta come un essere che non è me, ma che mi osserva e di cui, in un certo momento, posso essere sottilmente consapevole. Può comunicare con me e, se gli presto attenzione, ha la capacità di tirarmi avanti. Martin Buber (1970), nel suo fondamentale Io e Tu, scrive: “Questa è l’eterna origine dell’arte: l’essere umano si confronta con una forma che vuole diventare opera attraverso di lui” (p. 60). Tutti i processi creativi aumentano la capacità di diventare un canale per ciò che vuole emergere.

Gli artisti riconoscono questo essere: spesso viene vissuto come l’essenza più profonda del processo creativo. Nel 2004 Ed Bradley, conduttore del notiziario televisivo americano 60 Minutes, intervistò il leggendario cantautore Bob Dylan. Ha citato l’autobiografia di Dylan, in cui scrive: “Stavo andando verso le luci fantastiche. Il destino stava guardando proprio me e nessun altro” (Dylan, 2004, p. 24). Più avanti nell’intervista, dopo aver passato in rassegna la lunga carriera di Dylan, Bradley chiede: “Perché lo fai ancora? Perché sei ancora qui fuori?”. Dylan risponde: “Beh, è una questione di destino. Ho fatto un patto con esso molto tempo fa e sto rispettando la mia parte” (60 Minutes, 2004).

La natura del “patto” di Dylan non è tanto quella di creare canzoni, quanto piuttosto quella di permettere alle canzoni che vogliono essere scritte di manifestarsi attraverso di lui. Questo è un aspetto che ha descritto più volte nel corso della sua carriera. Nell’intervista con Bradley, dice: “È come se un fantasma scrivesse una canzone del genere, ti dà la canzone e se ne va. Non sai cosa significhi. Solo che il fantasma ha scelto me per scrivere la canzone” (60 Minutes, 2004).

Questa esperienza trova risonanza nella scrittrice Elizabeth Gilbert, che parla anche dell’esperienza di essere vista da un essere che comunica con lei. Descrive così la sua comprensione dell’impulso creativo:

Credo che il nostro pianeta sia abitato non solo da animali e piante, batteri e virus, ma anche da idee. Le idee sono una forma di vita disincarnata ed energetica. Sono completamente separate da noi, ma in grado di interagire con noi, anche se in modo strano. Le idee non hanno un corpo materiale, ma hanno coscienza e certamente hanno volontà. Le idee sono guidate da un unico impulso: essere rese manifeste. E l’unico modo in cui un’idea può essere resa manifesta nel nostro mondo è attraverso la collaborazione con un partner umano (Gilbert, 2016, pp. 34–35).

L’autrice descrive come spesso non riusciamo a sentire l’idea o scegliamo di ignorarla, ma come, nelle giuste condizioni, siamo più ricettivi ad essa. Spiega: “E poi, in un momento di calma, ci chiederà: ‘Vuoi lavorare con me?’”. (Gilbert, 2016, p. 36).

Sebbene questa caratteristica della conoscenza in quarta persona sia forse la più difficile da articolare, crediamo che sia piuttosto comune. Vent’anni fa, nell’ambito della serie di interviste che ha portato alla creazione di Theory U, Otto si è seduto con il Cerchio delle Sette, un gruppo di donne con un profondo impegno nell’esplorare il processo di transizione e trasformazione, riunendosi regolarmente con rituali e processi per sostenere la loro esplorazione. Durante l’intervista, il gruppo ha riconosciuto esplicitamente un’entità che testimonia il loro processo. La descrivono in questo modo:

Mi sento una persona più grande. Mi sento più piena nel mio essere. E mi sento potenziata o abilitata in un modo particolare. Mi sento vista. Sento che l’attenzione è raffinata, non giudicante e amorevole. E sento la presenza dell’Essere del Cerchio, che è diversa dalla somma degli individui. (Scharmer et al., 2003, p. 22)

Quello che chiamano l’Essere del Cerchio è una delle più chiare articolazioni del sapere in quarta persona che abbiamo incontrato, e continua a guidare il nostro pensiero. Emerge attraverso la nostra attenzione e intenzione condivisa, ma è un’entità distinta a sé stante, con una propria conoscenza e intenzionalità. Riflettendo più recentemente sull’esperienza del Cerchio dei Sette, il membro del Cerchio Glennifer Gillespie ha commentato:

È difficile parlarne, perché sembra davvero di essere entrati in un altro regno, eppure il regno è in qualche modo familiare. Ma anche, in parte, generato da noi. La mia sensazione è che sia in parte la presenza di qualcosa che è già lì, quindi sembra un riconoscimento. (Glennifer Gillespie, 2022, Circle of Seven Interview)

Da molti anni lavoriamo con leader di vario tipo, tra cui fondatori e amministratori delegati di aziende e imprese sociali. Spesso chiediamo ai partecipanti a questo lavoro di leadership profonda di contemplare l’essere della loro organizzazione con una domanda come questa: Se la vostra organizzazione fosse un essere vivente in grado di sentire, quali sentimenti proverebbe in questo momento?

Contemplando questa domanda, “percepiscono” quello spazio e annotano qualsiasi sentimento gli venga in mente. Poi chiediamo: se la vostra organizzazione fosse un essere vivente in grado di parlare, cosa vi direbbe ora? Questa domanda, se posta in questo contesto e in questo modo, genera quasi sempre risposte profonde e sorprendenti. Dal punto di vista del campo sociale, l’organizzazione è un essere vivente con una propria interiorità, intenzione e voce. Questa voce, l’espressione del sapere in quarta persona, è ciò che crediamo emerga nelle pratiche di diario contemplativo dei partecipanti. Nelle conversazioni successive non ci hanno mai detto di aver trovato queste domande troppo astratte o inappropriate. Al contrario, la maggior parte dei partecipanti trova le domande più utili e naturali, perché riconoscono e portano alla superficie dell’attenzione la loro relazione profonda con l’essere vivente (l’organizzazione), che è sempre stata presente ma non è stata seguita in modo consapevole.

La percezione inizia a verificarsi dal campo

2. La conoscenza in quarta persona si manifesta nella nostra esperienza individuale come una modalità distinta di decentramento della percezione, che comprende un cambiamento nel modo in cui sperimentiamo lo spazio, il tempo, il sé, la luce, le sensazioni e il calore.

La conoscenza in quarta persona ha uno specifico senso estetico o di percezione. Si manifesta nella nostra esperienza individuale ed è conosciuta come un’esperienza sensoriale distinta e identificabile. Come l’essere descritto in precedenza, è la sensazione che ci sia qualcosa che si muove attraverso di me, a livello sensoriale, ma che non è di me. A causa di questa sensazione che “non è di me”, è diversa dall’esperienza soggettiva in prima persona. Consideriamo questa descrizione di un campo sociale, tratta da un esercizio di diario riflessivo:

Ciò che mi ha colpito è questo calore. Ma c’era anche una risposta sorprendente per me nel diario. Mi sembrava, e mi sembra ora, di ricordare qualcosa, di rievocare qualcosa che ho già vissuto. È come una sensazione che ho già avuto e che ho dimenticato. Oppure l’ho filtrata in modo da non poterla vedere prima di allora. (Nebojsa Illijevski, 2023, Riflessione del gruppo di discussione)

La natura sensoriale dell’esperienza è qualcosa che sentiamo spesso da altri che descrivono la loro esperienza di campi sociali generativi: lo spazio sembra caldo, il tempo rallenta, la luce cambia, l’esperienza si addensa e c’è un senso di familiarità o di riconoscimento che l’esperienza non è nuova. La nostra collega Dayna Cunningham descrive così uno di questi momenti:

Non c’era tempo. Non c’era tempo. Era fuori dal corpo. Era sospeso. Ero sul bordo e guardavo verso il centro, e la parola che continua a venirmi in mente e che sembra così inadeguata è “denso”. C’era un tale spessore che credo riguardasse il sostegno. Si trattava di compassione. Ma denso è la parola giusta. Sentirsi sostenuti. (Dayna Cunningham, 2019, Dialogo sul momento di Berlino).

Per coloro che prestano attenzione, questi momenti si annunciano con un senso di prefigurazione e una consapevolezza “nell’aria” e nel proprio essere che qualcosa di importante sta accadendo. È una risonanza sentita con il campo che emerge sia prima che dopo un cambiamento collettivo. Gli scriba generativi conoscono bene questa esperienza. Il loro lavoro consiste nel connettersi intenzionalmente con il campo sociale per esprimerlo visivamente, quindi sono particolarmente in sintonia con il campo. Ogni scriba intervistato per questo articolo ha parlato di momenti di soglia in cui un collettivo (gruppo) passa da un tipo di operatività e consapevolezza a un altro. Lo scriba generativo Jayce Pei Yu Lee ci ha detto: “C’è uno spazio di incertezza. È un po’ ambiguo. Ma riesco a sentire: “Oh, c’è qualcosa che sta cuocendo”, ma non ha ancora preso forma” (Jayce Pei Yu Lee, 2022, Intervista individuale).

Questa sensazione che ci sia qualcosa che sta emergendo o che sta per emergere è ciò che chiamiamo sapere non ancora incarnato o autotrascendente (Scharmer, 2001). Un altro modo di pensarlo è come un potenziale che deve ancora prendere forma. È percepito o conosciuto attraverso l’esperienza soggettiva, ma non è puramente soggettivo. È invece la percezione individuale di un potenziale che si trova all’interno dello spazio collettivo. Beth Jandernoa, membro del Cerchio dei Sette, condivide la sua esperienza di facilitatore di questi momenti:

So che stiamo arrivando alla soglia quando sento che il mio petto inizia ad aprirsi. Mi sembra che tutto il mio petto si stia aprendo e allora riconosco che siamo lì, sulla soglia. A quel punto ho la possibilità di scegliere — letteralmente, fisiologicamente — se continuare ad aprirmi verso e con la soglia che si sta aprendo. (Beth Jandernoa, 2022, Intervista al Circolo dei Sette)

Beth descrive poi il modo in cui la sua percezione cambia in questi momenti.

Ho notato che il mio modo di vedere si sposta dal vedere dal mio normale stato di orientamento esterno al vedere con i miei “occhi interiori”. I miei occhi interiori sembrano manifestarsi in tutto il mio corpo, come se il mio corpo diventasse i miei occhi e io vedessi con ogni parte di me. È più una visione a 360 gradi, piuttosto che vedere solo ciò che ho davanti. Sono più qui, ma sono anche più ovunque. L’esperienza espansa della mia presenza si approfondisce nel mio corpo, ma include tutti e qualsiasi cosa si trovi nello spazio. (Beth Jandernoa, 2022, Intervista al Circolo dei Sette)

In questa situazione, la natura e la fonte della percezione stessa si spostano. Si passa da una prospettiva centrata — all’interno del mio centro che guarda fuori — a una fonte di percezione decentrata e multi-locale. Questo è qualcosa che a volte sentiamo esprimere come sensazione di essere fuori dal proprio corpo. Piuttosto che vederla come un’esperienza extracorporea, la vediamo come una percezione dal corpo collettivo. La capacità di percepire da un campo panoramico di consapevolezza è il fondamento della connessione con la conoscenza non ancora incarnata e del sostegno alla sua manifestazione come conoscenza emergente incarnata ed esplicita.

Marian Goodman, membro senior del Presencing Institute, descrive cosa accade nei momenti di connessione con la conoscenza del campo in questo modo:

Qualcosa rallenta. Il rapporto con la cronologia e il senso di separatezza cambiano completamente nell’esperienza. Qualcosa diventa più primordiale, se vogliamo. Quindi un rallentamento, un cambiamento di frequenza e un cambiamento di orientamento. Ciò a cui si inizia a prestare attenzione, o ciò che inizia ad attirare la nostra attenzione, è diverso. C’è uno spostamento di attenzione e credo che questo spostamento di attenzione sia l’interiorità del campo. Penso che sia lì che va la vostra consapevolezza, perché c’è questo senso di perdita dell’io personale, del piccolo io, nello spazio e nel tempo, ma un allargamento della presenza nel rallentamento. Quindi, siete molto nel tempo, perché siete proprio ora, e molto nello spazio, perché siete proprio qui. (Marian Goodman, 2023, Intervista individuale)

Anche se abbiamo poche parole e concetti concreti con cui descrivere la prospettiva in quarta persona, c’è una certa familiarità. Si tratta di un’esperienza sentita, piuttosto che di una risposta emotiva agli eventi, che rientrerebbe nel campo del soggettivo. Come descritto sia da chi ha esperienza di campo sociale sia da chi è nuovo all’approccio del campo sociale, la natura sensoriale della conoscenza in quarta persona è vissuta come qualitativamente distinta dall’esperienza soggettiva che nasce all’interno dei confini del nostro essere.

Chi sono e cosa faccio è importante

3. La conoscenza in quarta persona è accompagnata da un maggiore senso di possibilità, in cui un potenziale futuro, precedentemente vissuto come irraggiungibile, si sposta all’interno dell’orizzonte di ciò che sembra fattibile e possibile.

La connessione con la quarta persona tende a produrre un profondo senso di empowerment, in quanto una nuova gamma di ciò che è possibile viene raggiunta. Nebojsa Illijevski, della Macedonia settentrionale, conosce bene questo fenomeno. Avendo partecipato ai programmi di sviluppo delle capacità di Theory U, Nebojsa ha lavorato per integrare il framework e le relative pratiche nel suo lavoro presso Public, l’Associazione per la Ricerca, la Comunicazione e lo Sviluppo, dove lui e i suoi colleghi pubblicano, tra gli altri progetti, un giornale di strada. Il giornale viene venduto da persone che vivono in comunità emarginate, creando così occupazione per questi individui e gruppi. Da questo lavoro, Public ha sviluppato un programma di tutoraggio sociale che aiuta le persone che hanno avuto difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. Public stava sviluppando questo lavoro quando è iniziata la pandemia e Nebojsa si è unito all’iniziativa GAIA (Global Activation of Intention and Action). L’iniziativa è stata lanciata dal Presencing Institute nel marzo 2020, proprio quando le chiusure, le quarantene e la sospensione del business-as-usual di Covid-19 hanno messo il mondo di fronte a un’acuta interruzione. L’iniziativa ha riunito una comunità globale di oltre 15.000 creatori di cambiamento per percepire il momento di forte interruzione e per seminare nuove possibilità da quel luogo.

Gli incontri bisettimanali online includevano relatori ospiti, dialogo e pratiche di arti contemplative e sociali, integrate da processi asincroni di piccoli gruppi organizzati autonomamente in Circoli di Solidarietà. Riflettendo sulla sua esperienza e sul suo impatto sulle proprie azioni e sulla propria agency, Nebojsa ci ha detto:

Mi sono sentito come se stessi gettando la mia maschera, come se stessi perdendo il mio personaggio, in modo da poter entrare più autenticamente negli spazi in cui mi riunivo con le persone. Da allora, mi sembra di essermi trasformato in un magnete che attrae le persone con cui voglio stare davvero. E questo ha portato a risultati davvero tangibili. Direi che è qualcosa che posso vedere. (Nebojsa Illijevski, 2023, Riflessione del gruppo di discussione)

I risultati tangibili di cui parla Nebojsa sono significativi. Nei pochi anni trascorsi da quando lo abbiamo incontrato nel 2020, Public ha ampliato e portato la metodologia dalla Macedonia ad altri quattro Paesi balcanici, con il sostegno di una partnership con GIZ (l’Agenzia tedesca per la cooperazione internazionale).

Come possiamo comprendere la relazione tra l’impegno in un campo sociale generativo e l’attivazione dell’agire? È interessante notare che la risposta si riflette nelle stesse parole di Nebojsa. Durante un esercizio di diario, il suo focus group è stato invitato a impegnarsi in un lavoro di immaginazione, concentrandosi su GAIA come campo sociale. Nel dialogo successivo all’esercizio di journaling, Nebojsa ha condiviso: “Se il campo sociale di GAIA può parlare, dice: ‘È aperto: passa’. La voce non è così gentile. È una voce molto determinata. ‘Passa, è aperto’. È una chiamata molto chiara” (Nebojsa Illijevski, 2020, Focus Group).

Nebojsa ha descritto la sua sorpresa nel constatare che la voce che gli parlava nel diario non era la sua. È a questa voce che ci riferiamo come prospettiva in quarta persona. Il messaggio specifico del campo sociale è una forma di conoscenza orientata al futuro che ci collega a un senso di possibilità con cui possiamo scegliere di impegnarci (o meno). Hodgson (2013) descrive il momento presente come uno schema di esperienze reali e latenti e la nostra esperienza del momento presente varia in base al nostro stato di coscienza. Il momento presente può essere sottile, cioè di breve durata o con una gamma ristretta di consapevolezza, ma può anche essere spesso, “dove abbracciamo l’intero campo delle nostre preoccupazioni e lo facciamo attraverso un’espansione del nostro campo di consapevolezza” (p. 29).

Elizabeth Gilbert descrive magnificamente l’esperienza del presente denso e il conseguente rapporto che abbiamo con la chiamata di un’idea che vuole manifestarsi. Dice: “La risposta più semplice, naturalmente, è dire semplicemente no. Così si è fuori dai guai. L’idea alla fine se ne andrà… non dovrete fare nulla”. (Gilbert, 2016, p. 37). L’alternativa, ovviamente, è dire sì. Di fronte a questa risposta, Gilbert dice: “Ora il vostro lavoro diventa semplice e difficile allo stesso tempo. Avete ufficialmente stipulato un contratto con l’ispirazione e dovete cercare di portarlo a termine, fino al suo esito impossibile da prevedere” (Gilbert, 2016, p. 38). L’esperienza del sapere in quarta persona consiste quindi nell’entrare in partnership con l’essere del campo sociale. Si tratta di una relazione intima, che mette a portata di mano l’agentività, perché c’è una chiamata a cui si sceglie di dare se stessi (anche se non si sa a cosa ci porterà). Beth Jandernoa riflette ulteriormente:

Mi sembra che questo collettivo interiore sia una vera promessa per ciò che il mondo o la vita richiedono. È il margine o la frontiera dinamica che contiene una sorta di chiave per accedere a un regno creativo che è sempre presente, ma a cui non accediamo molto spesso perché è offuscato dalla nostra coscienza abituale. (Beth Jandernoa, 2022, Intervista al Circolo dei Sette)

Nel connetterci con la conoscenza in quarta persona, diventiamo consapevoli di una presenza più grande che ci sostiene. È sempre stata lì, ma al di là della nostra attenzione, e ci chiama all’azione. Dipendiamo da essa ed essa dipende da noi.

Il tutto nelle parti e le parti nel tutto

4. La conoscenza in quarta persona tende a manifestarsi con una maggiore compresenza dell’intero e dell’individuo, rendendo disponibile la possibilità e la libertà di allineare l’attenzione, l’intenzione e l’agire individuali e collettive.

Il sapere in quarta persona nasce dall’intima relazione tra l’intenzione e l’attenzione individuale e collettiva. Tende a emergere attraverso esperienze di co-presenza in cui gli individui sperimentano sé stessi nel tutto e contemporaneamente sperimentano il tutto dentro di sé. Attraverso questa esperienza del tutto nell’individuo e dell’individuo nel tutto, gli individui possono acquisire un senso più elevato del proprio posto, e con esso la libertà di esercitare un’agire che si allinea con un’intenzione e un’attenzione condivise.

Per illustrare la relazione intrecciata tra agentività e intenzione individuale e collettiva, ci rivolgiamo ancora una volta alla nostra esperienza dell’iniziativa di risposta alla pandemia, GAIA. Nel corso dei tre mesi del processo, abbiamo raccolto dati sull’esperienza dei partecipanti attraverso sondaggi, focus group e una valutazione dialogica dei risultati. (Pomeroy et al., 2021). Qui attingiamo a questi dati.

In primo luogo, quando gli individui incontrano l’intenzione condivisa di un collettivo, sono spesso in grado di vedere un insieme più grande e di mantenere questo insieme nella loro consapevolezza. I partecipanti hanno commentato:

Mi sento più centrato e [posso] “concentrarmi su un piano più ampio”. (Sondaggio finale GAIA)

Vedere e sentire da tutto il mondo mi ha dato un senso della scala globale di questo tipo di impegno, il mio corpo-cuore-mente è parte di un grande movimento evolutivo di corpi-cuori-menti. (Sondaggio finale GAIA)

Queste descrizioni non sono quelle di un osservatore esterno o di una prospettiva in terza persona; piuttosto, questa percezione di espansione del tutto include l’osservatore. Quando le persone si vedono come parte di quella comunità o di quell’ecosistema, accade qualcosa di interessante ed essenziale: iniziano a vedere sé stesse attraverso la lente di quell’insieme. Lo sentiamo spesso. Considerate questa riflessione di Luis Dominguez:

Quando l’oratore ha parlato venerdì scorso, ho stabilito una connessione con me stessa e con una persona che amo. Ho sentito che ciò che stava accadendo nella sessione aveva qualcosa a che fare con me personalmente. (Luis Dominguez, 2020, Gruppo di discussione GAIA)

Prendendo in considerazione la seconda affermazione, quale o di chi è la voce che ha portato Luis a sentire che la sessione dal vivo, con migliaia di partecipanti, aveva qualcosa a che fare con lui personalmente? Chiaramente l’oratrice non stava rivolgendo i suoi commenti a Luis in modo specifico, quindi questa esperienza non riguardava un’interazione interpersonale o una conoscenza intersoggettiva in seconda persona. Tuttavia, c’era qualcosa che sembrava importante e profondamente personale, la cui fonte è difficile da individuare. Questo è ciò che riconosciamo come conoscenza in quarta persona. È un sapere che si manifesta nella nostra esperienza personale, ma che non appartiene a noi. Piuttosto, è originato dal campo e accessibile attraverso la nostra attenzione individuale e collettiva.

Quando le persone si connettono con la conoscenza in quarta persona e si vedono dall’insieme in questo modo, il loro rapporto con l’insieme cambia. Invece di perdersi in un senso di unità, le persone sembrano vedere più chiaramente la loro individualità e il loro potenziale latente. Pedro Perez Guillon, un partecipante di GAIA dal Cile, lo ha espresso in questo modo:

Ho visto negli altri i miei stessi sogni e mi sono reso conto che si tratta di forze collettive che danno forma al nostro futuro comune. Mi sono sentito come un seme all’arrivo della primavera… sentendo l’attrazione magnetica della fioritura collettiva. Questo mi ha dato un grande senso di fiducia in questa forza interiore che vuole emergere in tutti noi. Come una forza naturale, organica e rigenerativa che rimodella noi stessi, il nostro lavoro e la nostra cultura. (Pedro Perez Guillon, 2020, Comunicazione personale)

Lo psicologo dello sviluppo Michael Tomasello (2022) descrive le caratteristiche dell’agentività umana che ci distinguono nella linea evolutiva. Egli ripercorre l’evoluzione dell’agentività dalle lucertole con un obiettivo diretto, passando per l’agire intenzionale dei mammiferi, fino all’agentività razionale delle grandi scimmie. Il passo evolutivo in questa linea che distingue gli esseri umani dalle altre specie è la nostra capacità di entrare in un’agentività condivisa. Tomasello (2022) scrive,

I primi esseri umani hanno quindi iniziato per la prima volta a mettere insieme le loro teste razionali con un partner per formare un agire comune e perseguire insieme un obiettivo comune. Queste attività collaborative erano a doppio livello, nel senso che comprendevano un livello condiviso di obiettivi comuni e attenzione comune, da un lato, e un livello individuale di ruoli e prospettive individuali, dall’altro. Potremmo pensare a queste due modalità di agentività. (p. 101)

Quindi, la caratteristica distintiva dell’agentività umana è la nostra capacità di allineare i nostri obiettivi e la nostra attenzione collettivamente o, in altre parole, di creare campi condivisi di intenzione e attenzione. Abbiamo la capacità di entrare in un’agentività condivisa e di co-progettare il nostro futuro in un modo che altre specie non hanno, e sperimentiamo l’agentività individuale in relazione a questa agentività condivisa.

Ciò che è essenziale in questo caso e che distingue il sapere in quarta persona da altre forme più malevole di esperienza collettiva, come il groupthink (Janis, 1997) o l’incoesione (Hopper, 2009)[See Bockler (2023) for a full discussion of the shadow side of groups.] è la libertà di scegliere di entrare nell’attenzione e nell’intenzione collettiva. Questo è un tratto distintivo della conoscenza in quarta persona: non è manipolativa. Piuttosto, avendo acquisito un senso accresciuto dell’insieme e del mio posto in esso, posso scegliere di rendermi disponibile per ciò che vuole muoversi attraverso di me. L’esperienza è quella di un’agentività e di una resa simultanee. Buber (1970) scrive: “Il Tu [campo sociale] mi incontra. Ma io entro in relazione diretta con esso. Così, il rapporto è di elezione e di elezione, passivo e attivo allo stesso tempo” (p. 62). Lo studioso e artista aborigeno Tyson Yunkaporta, del clan Apalech, nel Queensland, descrive in questo modo il rapporto tra agentività individuale e collettiva:

Devi permettere a te stesso di essere trasformato attraverso le tue interazioni con altri agenti e la conoscenza che ti passa attraverso di loro. Questa conoscenza e questa energia fluiranno attraverso l’intero sistema in cicli di feedback, e voi dovete essere pronti a cambiare in modo che questi cicli di feedback non siano bloccati (Yunkaporta, 2020, p. 87).

E proprio come l’incontro con il campo sociale ci cambia, anche noi lo cambiamo.

“Efficace in modo scioccante”

5. La conoscenza in quarta persona tende ad attivare campi sociali generativi a lungo termine che danno origine a risultati pratici sostenuti e significativi.

Uno dei modi in cui abbiamo ritenuto di poter conoscere la prospettiva della quarta persona nei dati e nella nostra esperienza è stato il suo impatto. Come si evince dalla storia di Nebojsa, la connessione con le esperienze descritte nei punti precedenti è accompagnata sorprendentemente spesso da un profondo cambiamento nel modo in cui le persone collaborano e nei risultati pratici che producono. Come dice la psicologa Eleanor Rosch, “l’azione dalla consapevolezza… può essere sorprendentemente efficace” (cfr. Scharmer, 2016, p. 166).

Una di queste esperienze è stata il Leadership Lab sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite in Liberia. Progettato congiuntamente dai leader delle Nazioni Unite e dal Presencing Institute, il laboratorio ha riunito i leader delle 25 agenzie ONU in Liberia (il Country Team delle Nazioni Unite), i membri della società civile e i funzionari governativi, online e di persona, tra ottobre 2022 e gennaio 2023. Insieme si sono mossi attraverso un processo facilitato di cambiamento dei sistemi basato sulla consapevolezza. Interessato a comprendere meglio l’esperienza del laboratorio e il suo impatto, il team di facilitazione si è impegnato in un processo di indagine, prima attraverso la propria riflessione strutturata, poi attraverso interviste e focus group (vedi Tabella 2). Nel riassumere la propria esperienza, il team di Liz Alperin Solms, Teo Iordache e Sharon Munyaka ha condiviso:

Fin dall’inizio del laboratorio, abbiamo sperimentato il flusso, lo stupore, la “giustezza” e la sensazione che potesse essere trasformativo. Questo non vuol dire che tutto fosse perfetto. Non è stato tutto perfetto. Le sfide in Liberia sono immense: la povertà, la corruzione, la profonda ferita di 20 anni di guerra, la mancanza di infrastrutture. Ma ci siamo sentiti attratti da un ecosistema che aveva un senso di “prontezza”, e c’era un senso di flusso o di “essere guidati” durante i sei mesi del Laboratorio. (Team di facilitazione del Liberia SDG Leadership Lab, 2023, Riflessione sull’indagine d’azione)

Sebbene il programma in sé sia stato relativamente breve, i prototipi emersi dal laboratorio colpiscono per la loro importanza e portata. Essi comprendono:

  • “Iniziazione senza mutilazioni” è emerso come un prototipo che lavora con i leader locali e le figure di saggezza per sostituire le mutilazioni genitali femminili (MGF) con pratiche culturali alternative che onorano i riti di passaggio e le strutture sociali ed economiche associate.
  • La campagna di pubbliche relazioni “We Are One Liberia” è stata creata per coinvolgere la società civile e le personalità pubbliche a promuovere un’identità liberiana comune e positiva in vista delle prossime elezioni nazionali. Le elezioni del 2023 sono state accolte come un successo schiacciante, segnando una transizione pacifica del potere in un Paese storicamente afflitto da colpi di stato e disordini politici.
  • È stato creato un Hub delle Nazioni Unite in una regione del Paese isolata per gran parte dell’anno da strade impraticabili, consentendo di allocare e indirizzare le risorse attraverso il processo decisionale locale anziché nazionale.

Forse l’impatto maggiore del laboratorio non è stato quello delle iniziative che ne sono scaturite, ma piuttosto il cambiamento che i leader hanno sperimentato nella percezione di sé e del proprio ruolo. La direttrice di un’agenzia ha raccontato di aver capito che, andando in giro la mattina prima del lavoro e prendendo un caffè con gli autisti dell’agenzia, sta facendo l’importante lavoro di percepire ciò che è necessario. Un alto funzionario dell’ufficio di valutazione ha riconosciuto istintivamente che non poteva fare l’ennesima valutazione di un Paese stando seduto nel suo ufficio a leggere rapporti di ricerca, e si è invece messo subito a parlare con i colleghi di altre agenzie delle Nazioni Unite e con persone della società civile e del governo. Il direttore di UN Women ha aperto il lavoro dell’agenzia in modo che i gruppi della comunità, le ONG, i gruppi di donne e il governo locale possano partecipare alla pianificazione, alla direzione e all’attuazione delle iniziative. Un giovane membro della società civile e un leader della comunità internazionale delle ONG ha dichiarato:

Personalmente mi rendo conto di voler fare qualcosa a un livello più alto per avere più accesso a influenzare il cambiamento. Vedo il potenziale per farlo, e non avrei avuto accesso a quelle informazioni. Non avrei potuto immaginare di poter influenzare il cambiamento a livello nazionale o di Paese. Ma l’ho fatto. È qualcosa di cui essere orgogliosi e per cui lavorare. (Aisha Lai, 2023, Indagine sul laboratorio di leadership SDG della Liberia).

Tutte queste iniziative e cambiamenti sono emersi da un’esperienza che ha coinvolto appena 30 leader di agenzie diverse nel corso di circa sei mesi. Come è possibile? Il Coordinatore residente delle Nazioni Unite in Liberia ha riflettuto sull’effetto dell’allineamento dell’attenzione e dell’intenzione collettiva. Riferendosi a un esercizio di “mappatura del sistema” che utilizza l’embodiment per supportare il rilevamento del sistema, ha osservato:

Si è avuta la sensazione che ci fosse un ecosistema (per usare un’espressione abusata), che ha permesso alle persone di capire che tutti avevano un’importanza e che la loro assenza in termini di impegno sarebbe stata difficile. Questo mi è apparso molto chiaro in quel momento. (Niels Scott, 2023, Liberia SDG Leadership Lab Action Inquiry)

Attraverso l’esperienza del laboratorio, un modo di conoscere e comprendere il sistema e il proprio posto in esso diventa disponibile dove non lo era prima. Noi sosteniamo che questa conoscenza catalizza una nuova azione. La fonte di questa conoscenza non proviene da un singolo individuo o gruppo, né dal team di facilitazione. Si tratta piuttosto di una fonte di conoscenza che finora è stata poco nominata, ma che è sentita e riconosciuta: è una conoscenza a cui si accede piuttosto che co-creata. La facilitatrice Liz Alperin Solms ha condiviso questo concetto:

Ci siamo sentiti come se fossimo sull’orlo del precipizio di ciò che doveva accadere dopo, come se qualcosa stesse comunicando con noi. Avevamo un piano esistente, ma ci è apparso chiaro cosa doveva accadere. (Liz Solms, 2024, Comunicazione personale)

Sosteniamo che la conoscenza in quarta persona, e il potenziale latente che racchiude, è sempre disponibile. Tuttavia, pur essendo sempre presente, non è sempre evidente. Campi sociali di alta qualità o generativi forniscono le condizioni per rendere accessibile il sapere in quarta persona.

Riallineando attenzione, intenzione e agentività

Sebbene abbiamo articolato i cinque punti precedenti come distinti e separati allo scopo di illuminare le loro proprietà, in realtà sono tutti aspetti di un’esperienza unificata. Qual è il codice epistemologico e la natura più profonda di questa esperienza? In un libro che si addentra più profondamente in queste esperienze, esso si caratterizza per le due seguenti svolte epistemologiche:

  1. L’attenzione, se approfondita, dà origine all’intenzione.

2. L’intenzione, se approfondita, dà origine all’azione.
(Scharmer & Kaufer, di prossima pubblicazione)

Il viaggio lungo il lato sinistro della U riguarda essenzialmente il primo principio: approfondire la comprensione delle prospettive multiple rilevanti in un contesto sociale in modo da dare origine all’intenzionalità sottostante: non solo ciò che è attualmente, ma anche il futuro che vuole emergere attraverso di noi.

Le prime tre caratteristiche del sapere in quarta persona si riferiscono a questa prima svolta epistemologica: l’attenzione che dà origine all’intenzionalità: (1) attraverso di me, ma non di me; (2) il decentramento della mia percezione del tempo, dello spazio, della sensazione e del sé; e (3) un senso accresciuto della possibilità e del potenziale che si trova all’interno del mio campo di azione. Gli ultimi due sono più chiaramente collegati all’intenzione che dà origine all’agentività: (4) compresenza del tutto nell’individuo e dell’individuo nel tutto, che porta a un contesto condiviso e all’allineamento dell’intenzione, dell’attenzione e dell’agentività; e (5) un impatto significativo a lungo termine e risultati pratici (“scioccantemente efficace”).

Verso un fondamento epistemologico per la rigenerazione sociale

Nel mettere insieme i vari punti deboli, vorremmo concludere con quattro punti di sintesi.

In primo luogo, abbiamo iniziato questo articolo con l’affermazione che la sfida numero uno del nostro tempo non è il cambiamento climatico, il disfacimento delle nostre società o la proliferazione dell’intelligenza artificiale. La sfida principale che dobbiamo affrontare è la sensazione ampiamente condivisa, soprattutto tra i giovani, che forse è già troppo tardi per cambiare rotta. Sappiamo quali sono i problemi. Sappiamo quali sono le soluzioni. Ma non le stiamo attuando. Questa osservazione ha fatto da sfondo alla nostra indagine: Cosa servirebbe per affrontare l’enorme divario tra sapere e fare che caratterizza il nostro momento attuale? A nostro avviso, ciò di cui abbiamo bisogno è attivare una forma di conoscenza e di sapere che vada oltre i costrutti tradizionali attorno ai quali sono organizzati molti dei nostri sistemi di apprendimento, conoscenza e leadership: il sapere in quarta persona.

Sebbene la sua articolazione possa essere nuova, lavoriamo con questo tipo di conoscenza in percorsi di trasformazione su larga scala e di attivazione dell’ecosistema da più di vent’anni e ne abbiamo sperimentato l’efficacia in tutti i contesti e le geografie. Lo conosciamo molto bene a livello esperienziale, come molti operatori dei processi di trasformazione, ma poiché non rientra in nessuna delle categorie preesistenti di creazione e apprendimento della conoscenza, non ne parliamo.

In secondo luogo, questo livello più profondo di conoscenza è accompagnato da una serie di proprietà esperienziali distintive. Ne abbiamo descritte cinque: (1) un sapere che viene attraverso di me ma non è di me; (2) il decentramento della percezione, compreso il tempo, lo spazio, le sensazioni e il sé; (3) un senso accresciuto di possibilità e di potenziale, in cui qualcosa che sembrava irraggiungibile viene improvvisamente sperimentato come raggiungibile; (4) la sensazione di essere attivi nell’aiutare “l’universo” (il campo sociale più ampio) a evolversi (compresenza dell’intero nell’individuo e viceversa); e (5) un impatto significativo a lungo termine in termini di risultati pratici (“scioccantemente efficace”). L’elenco non è necessariamente esaustivo, ma richiama la nostra attenzione su un livello più profondo di esperienza nei processi complessi di cambiamento, che di solito non viene preso in considerazione perché manca un vocabolario.

In terzo luogo, il sapere della quarta persona, il sapere del campo, può essere appreso. In realtà, è già riconosciuto da molti. Ed Schein, nel suo lavoro sulla cultura organizzativa, ha dato un linguaggio a ciò che era tacitamente conosciuto ma non articolato nella vita organizzativa. Ha definito la cultura come “l’insieme di assunzioni implicite condivise e date per scontate che un gruppo possiede e che determinano il modo in cui percepisce, pensa e reagisce ai vari ambienti” e osserva che è “una delle forze più potenti e stabili che operano nelle organizzazioni” (Schein, 1996, p. 231). Anche noi cerchiamo di dare un linguaggio a ciò che è noto ma poco articolato. Nel nostro caso, non guardiamo tanto a ciò che è la cultura, ma piuttosto a ciò che è all’interno della sua creazione: l’essere del tutto e il sapere che vi risiede. Dato che molti operatori del cambiamento e professionisti hanno avuto esperienze di conoscenza in quarta persona, il potenziale per diventare un principio centrale dell’apprendimento futuro, della creazione di conoscenza e della leadership è significativo.

In quarto luogo, siamo chiaramente all’inizio dell’esplorazione di una nuova meta-categoria del pensare e dell’agire che va oltre le forme tradizionali di sapere oggettivo (terza persona), soggettivo (prima persona) e intersoggettivo (seconda persona) e che può dare origine a un’attenzione, a un’intenzione e a un’agentività più olistici basati sul sapere che abbiamo provvisoriamente inquadrato come una quarta meta-categoria di sapere trans-soggettivo o auto-trascendente. Quanto più comprendiamo queste basi epistemologiche e ontologiche più profonde, da cui tendono a nascere e a ritornare tutte le altre forme di sapere, tanto meglio i nostri quadri di riferimento saranno al servizio dei bisogni evolutivi più profondi delle nostre società e del nostro pianeta, nel passaggio graduale dalla poli-crisi e dalla depressione collettiva alla rigenerazione poli-sistemica e all’agentività collettiva.

Sherri Mitchell, Penawahpskek della Nazione Penobscot, scrive,

Mentre attraversiamo questi tempi difficili, è importante ricordare che nessuno di noi è qui per caso. Siamo entrati in questo mondo con l’esplicito scopo di facilitare i cambiamenti che si stanno manifestando in questo periodo e abbiamo portato con noi i doni necessari per svolgere questo compito. Nessuno di noi è fuori tempo o fuori luogo, anche se molti di noi non sono al passo con il loro vero cammino. La nostra impronta unica è essenziale per il disegno più ampio che si sta svolgendo. (Mitchell, 2018, p. xx)

La nostra speranza è che, articolando e centrando il sapere in quarta persona, possiamo fornire una base epistemica agli individui e ai collettivi per riconoscere, connettersi e manifestare ciò che è loro compito fare — la loro “impronta unica” — all’interno del più ampio modello e movimento che sta nascendo nel nostro momento attuale.

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Tratto da: Journal of Awareness-Based Systems Change, Volume 4, Issue 1, pp. 19–4

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Fedi Paolo

Innovator, change maker, systemic and creative thinker, altruist